Una maga senza forma,
un mattino un po' bizzarro,
ordinò a grano e farro:
«Fate che egli dorma!»,
indicando un contadino,
che lavorava lì vicino.
Fu così che ogni spiga,
mossa da un lieve maestrale.
tesa al cielo come riga.
intonò un madrigale.
Il canto ammaliante
tosto avvolse il fattore
con un ritmo costante
che lo indusse nel torpore.
La fata inconsistente,
dal prodigio soddisfatta,
prese gli occhi di un serpente,
colse un bel pugno di paglia,
strappò un pelo ad una gatta
e ad un elfo rubò la maglia.
In una pentola di coccio
mise tutto il suo bottino
e ,aggiungendo coda di sorcio,
invocò Giove e Odino,
cosicché per destino
venne fuori un bel fantoccio.
Ma gli dei della bufera,
nominati dalla maga,
pretesero una paga
dall'ignara fattucchiera:
nascondeva un tranello
il pupazzo giovincello.
Appena la maga innamorata
strinse
il fantoccio al petto,
capì
di esser stata fregata
dal
divino dispetto:
il
calore del suo cuore
per
l’amante fu veleno,
visto
che avvolse di fiamme
il
fidanzato paglia e fieno.
Divenne
cenere il pupazzo
e in
balìa del vento
volò
in cielo come un razzo
come
ogni amore spento.